Cassa integrazione per le Imprese dell’Artigianato alimentare, il Tar del Lazio dà ragione alle tesi di Fiesa Assopanificatori

Con una sentenza del 24 dicembre 2020 il Tar del Lazio si è pronunciato su un ricorso presentato da diversi operatori sul tema dell’illegittimità della delibera di FSBA- consistente nell’obbligatorietà all’iscrizione al Fondo stesso- per poter beneficiare delle prestazioni di cui DL 18/2020 (concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale emergenza covid-19) e al D. Lgs 148/2015.

Il Giudice osserva che il DL 18/2020 ha previsto l’erogazione delle prestazioni in oggetto affidando la gestione delle relative domande al FSBA, prescrivendo come unico requisito, necessario e sufficiente per accedere all’assegno ordinario, la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Pertanto, la richiesta di iscrizione al Fondo FSBA può ritenersi legittima solo come iscrizione burocratica per consentire le modalità digitali di accesso alla piattaforma che permette di presentare le domande, senza alcun obbligo contributivo nei confronti del Fondo FSBA. Il giudice accoglie la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati limitatamente alle previsioni dell’obbligo di iscrizione al Fondo laddove da tale iscrizione venga fatto discendere il sorgere dell’obbligazione contributiva in capo al datore di lavoro a favore del Fondo medesimo.

Si tratta degli stessi argomenti che Fiesa Assopanificatori Confesercenti aveva fatto presente alla ministra Catalfo il 3 giugno scorso con una nota urgente a firma del Presidente Fiesa Gianpaolo Angelotti e del Presidente Assopanificatori Davide Trombini. Nota rimasta senza risposta.

Nella nota Fiesa Assopanificatori precisava che “l’unico requisito rilevante ai fini dell’accesso all’assegno ordinario con causale “Emergenza COVID-19”, emanata in stato di emergenza Coronavirus, è l’ambito di applicazione soggettivo del datore di lavoro, con lo scopo di alleviare, a spese del bilancio dello Stato, le sofferenze delle imprese artigiane dell’alimentazione chiamate in prima linea a garantire il servizio di rifornimento alimentare ai cittadini”.

L’Associazione dei panificatori di Confesercenti già a giugno scorso rappresentava, quindi, che “… un intervento pubblico di emergenza di sostegno alle categorie in sofferenza non può essere inteso come un nuovo oneroso obbligo a carico delle stesse imprese a favore di un terzo. In riferimento a quanto evidenziato, la nostra Associazione fa presente che la pretesa di FSBA (Fondo di Solidarietà Bilaterale dell’Artigianato) e la regolarizzazione della stessa con il versamento di arretrati per 36 mesi, contrasta con gli scopi del DL 18/2020.”

Nella nota, Fiesa Assopanificatore, chiedeva al Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo e al Presidente dell’Inps Pasquale Tridico di valutare “con urgenza la possibilità di modificare e/o chiarire il sistema e le procedure di accesso ai benefici di cui al D.L. n.

18/2020 relativi all’assegno ordinario per i dipendenti delle aziende del settore artigiano, attraverso i cosiddetti Fondi di Solidarietà Bilaterali dell’Artigianato.”

Per i panificatori di Confesercenti la pretesa di FSBA era “fuori dal dettato normativo introdotto in via emergenziale, andando in netto contrasto con le finalità del DL 18/2020 che interviene per il sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.”

Per tutto quanto sopra detto, Fiesa Assopanificatori chiese al Ministro “di rimuovere questo sistema imposto dal FSBA con propria delibera di urgenza del 2 marzo 2020 con la quale si stabiliva l’obbligo di iscrizione al fondo per le procedure di accesso ai benefici Covid19 per le aziende artigiane prevedendo per le aziende artigiane di proporre la domanda di accesso ai fondi previsti dal D.L. n. 18/2020, specificando la causale esclusiva “COVID-19” quale effetto esimente dal versamento di quote di iscrizione e/o contributi pregressi a favore di FSBA.”

Adesso il Tar del Lazio, che già era intervenuto con un’altra sentenza, ci dà ragione.